Quella lunga scia di sangue che indignò il mondo
Quella fotografia in bianco e nero - con il presidente socialista del Cile Salvator Allende, in testa l'elmetto, un mitra decisamente inusuale nelle sue mani, che annunciava di voler morire nel Palazzo presidenziale già bombardato dai golpisti - divenne un simbolo fino a condizionare i sentimenti politici di intere generazioni in tutto l'Occidente. Era l'11 settembre del 1973. Dopo mesi di forti tensioni sociali l'attacco al palazzo della Moneda segnava l'epilogo del colpo di stato contro il governo Allende, guidato dal capo dell'esercito che lo stesso Allende aveva nominato. Ed era l'inizio di anni di feroce dittatura, di repressione, di un cruento bagno di sangue nelle fila degli oppositori (o dei sostenitori dell'esperienza Allende) contro cui insorsero le coscienze in tutti i paesi democratici. Nei primi tre anni di dittatura furono imprigionati almeno 130 mila oppositori. Nelle prime settimane dopo il golpe il mondo intero fu sconvolto dai racconti (e poi dalle rare testimonianze fotografiche) delle migliaia di cileni imprigionati nello stadio di Santiago. Molti passati per le armi, molti torturati (una enorme impressione destò la fine di Victor Jara, uno dei cantanti simbolo del "nuovo Cile" cui furono spezzate le mani prima di essere ucciso). E nel linguaggio comune entrò per la prima volta il terribile termine di "desaparecido". Gli scomparsi, le migliaia di oppositori catturati e uccisi che costituiscono la lunga scia di sangue di diciassette anni di dittaura e per i quali in vita - insistono le vittime - non ha pagato. Non si è mai riuscito a stabilire con esattezza nemmeno quante siano state le vittime fatte sparire dal regime cileno. Cifre ufficiali parlarono di circa duemila persone, ma i dissidenti hanno stimato in ottantamila gli oppositori politici morti dopo essere passati per le carceri speciali del regime. Ancora oggi, in Cile e in tanti Paesi del mondo, ci sono famiglie che non sono mai riuscite a ritrovare le tracce dei loro parenti.
La repressione, e la costante paura di un ritorno dell'opposizione nei primi anni di regime, portò a una oppressione e alla caccia senza esclusione di colpi agli oppositori, fino agli assassinii in altri paesi. Migliaia di cileni scelgono la via dell'esilio. L'esperienza e la cultura che aveva accompagnato l'esperienza di Unidad Popular e del governo Allende diviene famosa nel mondo, dalle canzoni degli Inti Illimani ai libri di Skàrmeta, Sepulveda o alle opere del Nobel Pablo Neruda, morto dieci giorni dopo il golpe. La destituzione di Pinochet, sedici anni fa, aprì per il Cile la difficile stagione dei conti con il dittatore ed il suo regime. E iniziarono anche ad arrivare le conferme delle atrocità e anche delle sue connivenze politiche. Si sono avute le conferme - non facili e con molte reticenze - dagli Stati Uniti della compromissione della Cia con molti degli ufficiali di Pinochet, si sono avute le conferme degli enormi spostamenti di capitali che i governi Usa hanno operato negli anni del golpe. Ed anche dei milioni di dollari dei conti intestati a Pinochet scoperti nelle banche estere. Sono i crimini per i quali il dittatore simbolo dell'America Latina è stato arrestato, inciriminato, in parte condannato, ma con cui doveva ancora chiudere i conti la giustizia cilena. Come ha commentato un esule cileno in Italia alla notizia della sua morte, "doveva pagare da vivo".
Angelo Melone
www.repubblica.it
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