Più insulti che proposte nella corsa alla Presidenza dell’Ecuador
A solo 24 ore dal voto di ballottaggio, i due candidati, il conservatore Álvaro Noboa e il progressista Rafael Correa, non sono riusciti a trasmettere proposte concrete e hanno chiuso la campagna elettorale con un scambio acceso di insulte e accuse. Dai loro bastioni elettorali, Quito, nella zona andina, per la sinistra e Guayaquil, nella costa, per la destra, i due candidati si sono accusati di tutto. Noboa, milionario industriale, la cui fortuna familiare è nata nelle piantagioni di banane, è stato accusato di essere uno sfruttatore dei lavoratori e di voler comprare il paese con il suo libretto di assegni. Correa ha avvertito anche contro possibili brogli e ha incitato gli elettori a vigilare sulla correttezza del voto, “portando la biro da casa per scrivere sulla scheda”. Noboa invece ha accusato l’avversario di essere “comunista”, ha enfatizzato “i difetti psicologici e morali che hanno caratterizzato tutta la vita” dell’avversario, e ha accusato Correa di voler eliminare la dollarizzazione del paese, posizione che spaventa molti in Ecuador, che grazie all’adozione del dollaro del 2000 ha raggiunto per lo meno una certa stabilità macroeconomica. Sicuramente Correa si oppone al trattato di libero commercio con gli Stati Uniti e intende rivedere i contratti di sfruttamento delle aziende petrolifere straniere che operano nel paese.
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