Le elezioni in Brasile, secondo l'inviato di 'La Repubblica', Omero Ciai:
Spavaldo, al termine dell'ultimo duello in tv, Lula non ha usato il minuto concesso per l'appello agli elettori. "Non lo posso fare - ha detto sornione - altrimenti supero il 100 per cento dei voti e mi annullano le elezioni". Forse perché era il giorno del suo compleanno (61 anni). Forse perché lo ha trascorso abbracciando supporter in mezzo alla strada. Forse perché stava a suo agio nel ring da pugilato dello studio tv dove ha messo (tre volte) le mani addosso ad Alckmin per allontanarlo dalla telecamera quando il suo tempo era scaduto. Forse perché dice di non credere nemmeno ad un numero dei sondaggi ma sotto sotto ci crede. Forse per tutte queste cose insieme ma quello dell'altra sera era un Lula risorto. Risorto dalla scoppola del primo turno quando, per un punto e mezzo in percentuale, s'è trasformato in una notte da trionfatore in sconfitto. Risorto dalla campagna sulla corruzione del suo governo. Risorto anche dalle rivelazioni e dalle accuse sul figlio, "Lulinha" (piccolo Lula), passato in pochi anni da impiegato nello Zoo di San Paolo (è laureato in biologia) a socio milionario della maggior azienda telefonica del Brasile. Risorto comunque grazie alla buona situazione economica che alla fine ha fatto la differenza. Inflazione bassa, disoccupazione in calo, costo del denaro in discesa, sono certamente questi i tre fattori che hanno convinto la classe media, dopo averlo punito per gli scandali, a cambiare in parte il voto. E le ragioni si vedono nel dibattito. Alckmin è un tecnocrate freddo che non arriva al cuore della gente mentre Lula è un uomo politico popolare, che usa l'argot della strada e preferisce il buon senso piuttosto che i numeri quando affronta un problema generale. Così, cresciuto sull'etica e le accuse di corruzione, Alckmin è andato in default quando la campagna del ballottaggio è entrata nel concreto: privatizzazioni, spese dello Stato, riforma agraria.
Alla vigilia del voto il Brasile è un paese drammaticamente spaccato in due. Da una parte c'è quello di Lula: le regioni del Nord e del Nord Est, i comuni più piccoli e più poveri; le aree di agricoltura familiare e quelle che più dipendono dagli aiuti finanziari del governo centrale. Dall'altra parte quello di Alckmin: il sud, San Paolo, il cuore industriale e finanziario del paese, l'aristocrazia agricola e la borghesia cittadina. Il Brasile è sempre stato il gigante dalle grandi diseguaglianze sociali ma è la prima volta che questo si riflette anche nella politica e in due candidati che rappresentano due paesi con progetti, aspirazioni e programmi assolutamente inconciliabili. Quello di Alckmin è il paese della borghesia produttiva che vuole meno tasse; uno Stato agile; sicurezza e famiglia; sanità e scuola efficienti e privatizzate; un'agricoltura concorrenziale sui mercati mondiali. Quello di Lula, all'opposto, è lo Stato solidale che rischia di essere anche un po' troppo assistenziale, con le tasse che servono a re-distribuire il reddito anche se pesano troppo sulla crescita; la sanità e la scuola uguali per tutti e, dunque, anche di qualità media inferiore; i sussidi agricoli per le zone più aride; lo stipendio minimo statale per i miserabili delle favelas. Due mondi necessariamente in perenne conflitto. Gli esperti sostengono che la svolta l'avrebbe provocata un segmento molto particolare della popolazione. Sono le donne tra i 25 e i 34 anni che hanno una istruzione media superiore (non laureate), vivono nelle città del sud e guadagnano fra i 300 e i 700 euro. Sono sposate o stanno per farlo, hanno bisogno di crediti e stabilità, vogliono la scuola e la sanità pubbliche e non private. In questo segmento e in generale nelle classi medio basse del sud, dove Alckmin ha ottenuto il 56% al primo turno, Lula avrebbe recuperato buona parte dei suoi elettori grazie all'andamento economico positivo del suo governo. Offesi dagli scandali gli avevano voltato le spalle ma poi ci hanno ripensato perché con la discesa dell'inflazione ha migliorato il potere d'acquisto e con quella del costo del denaro l'accesso al credito. Così quando la battaglia del ballottaggio è diventata quella dei poveri contro i ricchi Lula, che oggettivamente rappresenta i primi, ha avuto partita facile perché in Brasile i meno abbienti sono ancora due terzi della popolazione. E perfino uno scrittore popolare come Paulo Coelho ha fiutato l'aria schierandosi con "il presidente operaio". Molto più difficile da domani sarà invece governare. Camera e Senato sono frammentati in 20 partiti e nessuno dei due candidati alla presidenza ha la maggioranza. Senza una riforma politica e una coraggiosa riforma agraria il secondo mandato di Lula potrebbe rischiare di essere del tutto evanescente e ininfluente nella storia moderna del Brasile.
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