Il primo "cacerolazo" contro Cristina
Cari lettori, sono sparito per un po' di mesi, immerso nella scrittura della mia tesi. In questo momento mi trovo, da un paio di settimane, a Buenos Aires, proprio per svolgere delle ricerche che mi serviranno per il mio lavoro. Ieri sera mi sono trovato immerso nella Storia, mentre questa si svolgeva sotto i miei occhi. Il suono di pentole e trombette prima isolato, qua e là, poi sempre più alto, fino a raggiungere i toni del frastuono, mi ha attirato in strada. Gente comune, spontaneamente, suonava, alcuni dai balconi di casa, la maggior parte scendendo per strada, lungo Avenida Santa Fe, che, correndo da Nord a Sud, conduce verso il centro político della Capitale argentina. L'incessante suono ritmico del metallo, quasi angoscioso in certi momenti, per chi non conosceva del tutto le ragioni della protesta, occupava tutta la calda serata "porteña" (cioé di Buenos Aires). Le macchine che passavano negli incroci bloccati dalla folla suonavano i clacson in segno di condivisione, altrettanto facevano altri passanti, sprovvisti di pentolame ("cacerolas"), con le nude palme delle mani.
Da 13 giorni il paese viveva una serrata dei produttori agricoli, che si sviluppava attraverso blocchi delle principali arterie economico-stradali del paese, quelle che conducono, per intenderci, verso la Capitale, o verso il principale porto cerealicolo del paese, Rosario, o in generale, il cosiddetto corridoio del Mercosur (verso Brasile e Uruguay). Tutto nasce da una iniziativa del governo che andava a modificare il regime di tassazione delle importazioni, uno dei pilastri del nuovo modello di sviluppo argentino dopo la crisi del 2001/2002. Si tratta in pratica di un imposta che gravava per un 35% sulle esportazioni di prodotti agricoli, con l'effetto di garantire forti ingressi al governo centrale e di calmierare i prezzi interni di prodotti come la carne bovina (di cui gli argentini consumano 80kg a testa l'anno), il mais o il grano. In particolare la soia, sebbene poco consumata domesticamente, i cui prezzi sono andati alle stelle negli ultimi anni, ha contribuito enormemente all'avanzo nei conti dello stato da qualche anno a questa parte. C'è da dire che i produttori sono stati beneficiati da un politica monetaria che ha favorito un tasso di cambio particolarmente competitivo rispetto al dollaro (intorno a 3.15 pesos per dollaro), e ancor di più rispetto all'Euro, verso la cui zona vanno il 50% delle esportazioni argentine, che è arrivato a valere 5 pesos (la Banca Centrale ha in pratica legato il peso al dollaro, e questo si è svalutato enormemente. Inoltre un imposizione simile grava sui combustibili (uno dei principali input della produzione agricola), favorendo un prezzo interno particolarmente basso. Inoltre nel periodo successivo alla crisi il Governo favorì i produttori indebitati che rischiavano di perdere la loro terra.
In ogni caso, la reazione all'iniziativa del governo è stata durissima. La modifica introduce un imposizione mobile all'esportazione, vale a dire che più alto sarà il prezzo internazionale di una derrata agricola, più alta sarà la tassazione all'esportazione. Nel caso della soia ad esempio, si calcola che per prezzi internazionali superiori ai 600$ (attualmente è sceso intorno ai 450$ per tonnellata), il 95% del aumento del prezzo andrebbe ad ingrossare le casse dello stato. In poche parole, è come se lo Stato avesse fissato un prezzo massimo per i produttori. Lo scontro più forte è proprio sulla soia: in relazione ad altri prodotti, l'imposizione potrebbe anche scendere. Ma è la soia che ha garantito enormi guadagni a tutti, produttori e Governo.
La posizione del Governo già dura, rifiutando ogni confronto finché rimarranno i blocchi sulle stradi, si è indurita ancor di più dopo il discorso della "Presidenta" della nazione, Cristina Fernández de Kirchner. In un discorso lucido ma a tratti incendiario ha sottilmente rievocato i colpi di stato appoggiati in tutti i momenti della storia argentina dall'oligarchia agricola (rappresentata dalla Sociedad Rural), ha raffrontatato questi blocchi di strada "dell'abbondanza" con quelli dei disoccupati e gli affamati nel corso della crisi ("i piqueteros"), ha ricordato come nel corso della storia del paese, durante le crisi, le perdite dei produttori siano sempre state socializzate, mentre nei periodi di vacche grasse questi pretendono di tenere per se' la maggior parte della torta. Ha riaffermato lo strumento della tassazione alle esportazioni come strumento di redistribuzione sociale e di calmierazione dei prezzi di prodotti indispensabili per la dieta basilare degli argentini. Non ha concesso alcuno spazio al dialogo, finché non cesseranno le pratiche "estorsive" dei grandi produttori rurali. Il tutto condito da espressioni colorite che hanno provocato l'immediata indignazione degli agricoltori.
Poi la sera, l'incredibile è avvenuto, e le classi medio alte della città sono scese in piazza per mostrare il loro appoggio alle rivendicazioni dell'agro. Come assaggio di ciò che potrà succedere nei prossimi giorni, successivamente, anche i piqueteros (alleati politici del governo) hanno deciso di convergere su plaza de Mayo (la piazza dove sorge la Casa Rosada, il palazzo presidenziale), sloggiando i manifestanti che vi si trovavano. Più in la' nella notte una pioggia torrenziale, come un lavacro provvidenziale, provvedeva a concedere a tutti una notte di necessaria riflessione. La mattina, ció nonostante, le posizioni sembravano più rigide che mai.
Al di lá delle posizioni, Cristina (com'è chiamata qui) sembra aver commesso gravi errori di tattica politica. Ha promosso delle modifiche senza prima aver consultato con l'agro, in particolare con i piccoli e medi produttori, con i quali sarebbe stato più facile trovare una mediazioni. Allo stesso tempo non ha differenziato tra settori con interessi diversi tra loro come i produttori di cereali, quelli di carne o le industrie casearie. In questo modo è riuscita a compattare tutto il fronte agricolo, costringendo insieme il grande produttore con lacoste e rayban della Pampa (una delle zone più fertili del paese) insieme al piccolo produttore, sdentato e cotto dal sole, del Chaco (zona semiarida del nord del paese). L'aggressività del discorso (anche se rivestito di un tono educato) ha rinfocolato l'opposizione política della classe medio alta dei grandi centri urbani, che già non l'avevano votata alle elezioni. Così è riuscita a riunire destra e sinistra sotto la bandiera dell'opposizione al governo.
Invece di scegliere di instituzionalizzare il dialogo con il settore agropecuario, ha scelto lo scontro radicale. Già si rispolverano vecchie categorie di decadi passate. Già si ricordano gli scontri violenti tra Perón e le classi benestanti agricole del paese.
A meno che fosse questo il piano fin dall'inizio, andare allo scontro con l'agricoltura per cercare di stroncarne la forza política. Una sorta di progetto egemonico, una deriva di stampo venezolano. Quale il costo però. Sperando che questo "quilombo" (casino) si ricomponga, gli scaffali dei supermercati iniziano a essere vuoti di carne e i prezzi ricominciano la loro corsa.